martedì 28 settembre 2010

Ecco appunto

Dal quotidiano Expasion via agenzie italiane (Agi):

Electricite de france starebbe lavorando su due nuovi progetti di reattori nucleari da mettere in concorrenza con quelli di terza generazione epr di areva. Lo riferisce il quotidiano expansion nell'edizione in edicola domani.
In particolare, secondo il giornale, edf starebbe disegnando una propria serie di reattori di potenza compresa tra i 1.000 E i 1.500 Mw elettrici alternativi all'epr che ha una potenza di 1.650 Mw ma che ha anche manifestato una serie di problemi di progettazione e di ritardi nella realizzazione.
"Non stiamo abbandonando l'epr" ha assicurato una fonte di edf citata da expansion "ma non vogliamo mettere tutte le nostre uova in un solo cestino". Edf sta costruendo un reattore epr a flamanville, in normandia.

venerdì 24 settembre 2010

Il mal di testa nucleare francese

Tutte le belle cose che normalmente si dicono sui francesi e sul nucleare fanno sempre più parte del passato.
Oggi il Ft scrive che Gdf -Suez ha definitivamente chiesto di uscire dal consorzio che dovrebbe costruire la seconda centrale Epr a Penly. Alla base della decisione ci sono i dissapori con Edf (c'era un contenzioso se Gdf potesse partecipare alla gestione operativa o dovesse solo contribuire finanziariamente), ma anche la diffidenza verso il progetto Epr in quanto tale. Tanto che lo stesso articolo ricorda come come Gdf stia provando ad ottenere dal governo l'autorizzazione a costruire in Francia un reattore diverso, l'Atmea (ne avevamo già parlato qui e a seguire per tutto luglio) . Addirittura potrebbe riportare un progetto straniero (Ap1000 di Westinghouse) sul suolo francese per la prima volta da metà degli anni '80

I problemi sono due, ormai conclamati. I vari pezzi del nucleare francese vanno in ordine sparso e si fanno la guerra. Edf contro Areva e Gdf contro tutti. Il secondo è che l'Epr è una iattura che rovina i conti di chiunque lo promuova. I guai di Areva sono noti, quelli di Edf sono crescenti. La settimana scorsa la banca d'affari Hsbc ha pubblicato un report in cui taglia del 25% il prezzo obiettivo per l'azione Edf. Il vero motivo del calo della valutazione è l'imminente revisione delle tariffe in Francia, ma l'analista della banca inglese titola eloquentemente "A continuing nuclear headache". Gli argomenti li conoscete bene: l'impoossibilità di stimare i costi del cantiere di Flamanville.

Finora il track record del più grande reattore mai progettato è terribile: in ritardo cronico in Europa, bocciato negli Emirati per l'eccessivo costo, impresentabile in Africa (per ammissione della stessa Edf).
L'ultimo tassello di questo quadro terribile arriva dagli Stati Uniti, dove Constellation, che avrebbe dovuto portare l'Epr negli States, ha chiaramente detto che al momento i prestiti pubblici non sono così alti da rendere conveniente l'avanzamento del primo reattore previsto, vicino Washington.

giovedì 23 settembre 2010

Il recupero

Siamo ad un passaggio decisivo della viceda nucleare italiana. E' evidente che chi ha creduto nel progetto non sopporta più l'ipocrisia di un governo e di ministri, come Tremonti e la Prestigiacomo, che lasciano le roboanti dichiarazioni pro-atomo sulla soglia del consiglio dei ministri e non ne escono mai con una decisione sull'Agenzia-che-non-può-essere-nominata. L'arrivo sui giornali del lavoro "segretissimo" svolto da Sogin sui 52 siti tra cui trovare il futuro deposito delle scorie è l'occasione ideale per aumentare la pressione sull'esecutivo. Così si tiene vivo un argomento che proprio il governo, come ha raccontato il sole il giorno prima, voleva rimandare a data da destinarsi.
Ancora una volta è toccato al sottosegretario Saglia lanciare il cuore oltre l'ostacolo e promettere:
Mercoledì prossimo il presidente del consiglio viene alla Camera; auspico che ci possa essere una larga maggioranza per proseguire e certamente il presidente troverà subito dopo sulla sua scrivania la nomina dell'agenzia. Confido che dopo il chiarimento possa essere nominata al più presto


Facili ironie a parte sulla capacità di questo governo di rispettare le sue stesse scadenze, non resta che aspettare per vedere se e quando questo enorme "tappo" dell'agenzia salterà.
Mi sembra chiaro però che siamo all'ultima chiamata, tanto che anche Giancarlo Aquilanti, capo del progetto nucleare dell'Enel, ha lanciato una rassicurazione che sembra un po' anche un ultimatum:
Enel non è in ritardo e se l'Agenzia per la sicureza nucleare viene istituita in tempi brevi, entro l'anno, e con una certa operatività e autorevolezza, il piano rimane inalterato: apertura del primo cantiere nel 2013 e partenza della prima centrale nel 2020.


Girando il discorso e dando per scontato che difficilmente l'Agenza a gennaio sarà "istituita, operativa e autorevole", possiamo dire che Aquilanti ha spostato al 2011 la data per la quale il programma sarà "ufficialmente in ritardo", nel frattempo sappiamo già che la colpa sarà del governo.
L'opinione personale è che l'industria nucleare sta chiedendo all'esecutivo un colpo di reni, ma il recupero è abbastanza improbabile. Ancora più improbabile l'ipotesi di una scorciatoia, vagheggiata due giorni fa in un convegno dal direttore generale Corrado Clini che boccia in maniera sostanziale la legge dopo solo un anno di funzionamento

L'impianto normativo è limitante con un iter in cui devono essere elaborati 34 provvedimenti, collegati tra loro, con il rischio che si finisca come il gioco dell'oca, in cui arrivati a una casella si scopre che bisogna tornare indietro. La normativa andrebbe, allora, incentrata sul fulcro dello start-up con alcuni passaggi chiave: l'Agenzia per la sicurezza nucleare, il documento programmatico per la Strategia nucleare, e la definizione dei criteri per l'individuazione delle aree potenzialmente destinate a ospitare le centrali.

Per Clini, raccontano le agenzie, sarebbe poi necessario che il nucleare, tra le opzioni pulite, venisse conteggiato per l'abbattimento delle emissioni di gas serra, cosa che "in Ue ancora non avviene".
E un'impressione solo mia o stiamo tornando all'accademia?

lunedì 20 settembre 2010

Se la Germania sembra l'Italia di 25 anni fa

Il fine settimana ha visto 100 mila persone sfilare a Berlino contro l'allungamento dell'età delle centrali già in funzione nella repubblica federale. Anche in Germania è diventato soprattutto una questione politica: Angela Merkel non ha la maggioranza al senato e le opposizioni vedono nella proposta di far funzionare altri 12 anni i reattori l'occasione di farla cadere. Lei vuole evitare lo showdown e non ha presentato un progetto di legge, ma vuole far passare la decisione come puramente amministrativa. Spd e verdi hanno impugnato l'escamotage e ora toccherà decidere alla Corte costituzionale. Un po' come da noi ora: il governo cerca di evitare il confronto sul nucleare perché teme l'impopolarità dell'argomenton e chi è contrario si appella ai tribunali. Ricordiamo che l'attuale legislazione tedesca prevede il phase out, ovvero il progressivo spegnimento delle centrali senza sostituirle. In questo modo l'addio all'atomo arriverebbe nel 2022. Una legge votata da una maggioranza rossoverde dieci anni fa.

Ma per chi l'ha vissuto, invece il clima tedesco attuale sembra più quello del nostro referendum. I verdi stanno fiorendo come forza politica trainante del centro sinistra, secondo i sondaggi insidierebbero i socialdemocratici 22% a 24%. Per non farsi superare, l'Spd ha partecipato alla manifestazione di sabato e il leader Sigmar Gabriel ha proposto un referendum. Ma le consultazioni popolari non sono vincolanti secondo la Costituzione tedesca, così Gabriel ha proposto di cambiare la costituzione.

Ci vedo delle conferme nella mia tesi sul "raffreddamento nucleare": La crisi economica si fa sentire meno, il prezzo del petrolio non appare una minaccia e il riscaldamento globale è sceso nella lista delle priorità. "Verde" torna ad essere sinonimo di antinucleare.

mercoledì 15 settembre 2010

la terza generazione al palo

riporto qui il testo di un pezzo uscito su repubblica domenica scorsa.

La tesi in due righe è che la terza generazione è al palo, chi il vecchio nucleare ce l'ha se lo tiene e lo sfrutta la massimo. I nuovi cantieri stanno tutti deludendo le aspettative in termini di costi e di tempi. Nel pezzo cerco di spiegare perché l'aria sembra cambiata a livello globale.

Il "Rinascimento" nucleare segna il passo. Sembra così lontano il biennio 2007-08 quando Stati Uniti, Inghilterra e Italia decisero di costruire nuovi impianti dopo più di vent' anni di moratoria. Aggiunti agli ordini di Paesi a lunga tradizione nel settore (Francia, Giappone e Corea) e alle economie emergenti (Cina, Brasile e persino gli Emirati arabi) annunciavano una cascata di nuovi impianti, quelli della terza generazione, più grandi e più efficienti. Il primo bilancio dice: tanti studi, diversi miliardi di soldi pubblici stanziati, qualche promessa mancata e zero Kwh prodotti. I tempi del settore si misurano in decenni, ma tutte le forze che spingevano verso il nucleare solo tre anni fa, si sono affievolite. La recessione ha ridotto i consumi elettrici e i target di crescita futura sono stati spostati di almeno 5 anni (e in Italia non si tornerà alla domanda del 2008 prima del 2014). Nel frattempo le materie prime concorrenti hanno migliorato i propri rendimenti: il prezzo del petrolio è ormai stabile nel canale 70-90 dollari da due anni. Se si depura il prezzo del barile dall' inflazione si scopre che siamo agli stessi livelli che hanno messo le nuove installazioni nucleari fuori mercato sin dalla metà degli anni ' 80. Il gas naturale ha fatto ancora meglio visto che, specie negli Stati Uniti, grazie ai nuovi ritrovamenti di "shale gas" i prezzi sono crollati. Non altrettanto si può dire dell' uranio arricchito, quello utilizzato dalle centrali in funzione. Gli ultimi dati sul consumo negli Usa (valgono il 30% del totale mondiale) mostrano come in cinque anni la richiesta si è ridotta mentre il prezzo è triplicato (da 15 a 45 dollari l' oncia) senza ripiegare per effetto della recessione. Poi ci sono le energie rinnovabili, le uniche a poter sfruttare con il nucleare il sistema dei prezzi che penalizza chi produce anidride carbonica. Ha creato molto stupore uno studio del professor John Blackburn della Duke University che individua proprio nel 2010 l' anno in cui il singolo Kwh prodotto da un pannello solare costa quanto quello prodotto dal nucleare. Per quanto sia uno studio di parte (commissionato da un' associazione ambientalista del Nord Carolina contraria alle nuove centrali nello Stato), e i livelli di produzione delle due tecnologie non siano paragonabili, Blackburn ha colto un trend innegabile dai dati empirici: il solare continua a veder crollare i propri costi mentre il nucleare li vede crescere senza fine. Il caso più eclatante è l' Epr di Areva (il modello che Enel vuol portare in Italia), punta di diamante della terza generazione dei reattori. I tre cantieri aperti in Francia, in Finlandia, Cina sforano budgete tempi: dovevano costare4 miliardi l' uno e si viaggia già oltre i cinque. Una commissione speciale del governo francese, che puntava sull' Epr per far crescere le proprie esportazioni, ha ammesso gli errori e prepara una grande rivoluzione. Rimane il fatto che nessuno al momento sa con certezza quanto costa una centrale di nuova generazione. I paesi più pragmatici come Svezia o recentemente la Germania hanno deciso di allungare la vita degli impianti esistenti, il cosiddetto "vecchio nucleare", ma si guardano bene da lanciare nuovi investimenti. I giganti elettrici per avviare i cantieri chiedono garanzie ai governi. In Inghilterra, dove la svolta nucleare è sopravvissuta con qualche patema al cambio di maggioranza tra laburisti e conservatori, si pensa a prezzi fissioa una tassaa favore del nucleare. In Italia gli imprenditori sperano nell' inedito sostegno di Giulio Tremonti. Ancora ieri il ministro dell' Economia ha riconosciuto la necessità: «Dobbiamo fare il nucleare. Non possiamo andare avanti con i mulini a vento». Oltre a chiedere di riavviare ciò che la caduta di Scajola ha bloccato, Tremonti riceverà dal fonte nuclearista la richiesta di garantire prezzi fissi per l' elettricità prodotta (forse) tra un decennio dalle centrali.

venerdì 10 settembre 2010

La ricerca Enel-Ambrosetti (technical version)

E veniamo al merito della ricerca (sì, ho letto le 300 pagine). Le critiche sono sostanzialmente due.

Posizionamento. Per gli addetti ai lavori, o anche solo per i mediamente informati, la ricerca non contiene elementi nuovi. Fa riferimento a tesi e numeri consolidati all'interno della comunità scientifica ed economica. Il contesto e il tipo di presentazione la rendono inaccessibile ad una cerchia più larga, il contenuto la rende ridondante a chi già è dell'ambiente. Dove Enel e Edf potevano fare veramente la differenza era calando per la prima volta il progetto nella realtà italiana, ci hanno provato ma commettendo il secondo errore.

Ambizione. Non so se la molla sia stata dover rispettare i numeri già annunciati dal governo (25% di produzione elettrica da nucleare), oppure ottenere una cifra di risparmi cumulati particolarmente alta, ma l'ipotesi di 100 twh da nucleare entro il 2030 è particolarmente irrealistica. Lo scenario di 8 reattori Epr (o 10-12 se nel pacchetto mettiamo degli Ap 1000) perde di credibilità man mano che né i cinesi, né i francesi riescono a tenere il ritmo di costruzione dei reattori di terza generazione promessi.
Non è solo una questione di regolazione e capacità ingegneristiche (e ci sono superiori in entrambe), ma anche di colli di bottiglia nelle forniture altamente specializzate. Se nei prossimi vent'anni arriveranno 40 nuovi reattori nel mondo sarà un record, il 20-25% dovrebbero nascere in Italia?
Poi c'è il problema dei costi. Enel stessa fa fatica ad ammettere davanti agli analisti di essere pronta a mettere sul piatto almeno 10-12 miliardi per quattro reattori Epr in 10-15 anni. Chi potrebbe investirne altri 20-30 sul mercato italiano?

La ricerca Enel-Ambrosetti (political version)

Ha creato qualche polemica la ricerca presentata al forum Ambrosetti e commissionata da Enel e Edf. Su tutti il Fatto quotidiano la bolla come pura propaganda. All'interno delle 300 pagine sono certamente contenute tesi di parte, ma questo non la rende di per se stessa inaffidabile.
Criticabile, e vedremo dove, ma non falsa o artefatta.
In questo campo non esiste l'oggettività, quelli che chiedono alle ricerche di togliere loro ogni dubbio sulla sicurezza o sulla convenienza del nucleare fanno un errore fondamentale. Il nucleare è, a livello mondiale, un lungo confronto di tesi di parte. Anzi devo dire che, considerando la disparità di mezzi tra i big energetici e le associazioni ambientaliste, il trattamento dei media è clamorosamente equo.

Come ho scritto nel libro, non esiste una risposta definitiva, guardate i tedeschi: in vent'anni hanno cambiato idea tre volte (moratoria, spegnimento progressivo e definitivo, allungamento della vita delle centrali).

il pur bravo Giorgio Meletti esplicita l'equivoco quando scrive:
Non si capisce quale antinuclearista potrebbe essere spinto da un documento del genere a rivedere le sue opinioni. Probabilmente gli basterà vedere titolo e sommario per decidere di non leggerlo.

La vicenda nucleare in Italia può diventare una grande battaglia per la conquista delle menti degli italiani (propaganda pro Vs propaganda contro) o un'interminabile tiro alla fune in cui si permette all'Enel e agli altri di provarci senza fare sconti. Visto il periodo, facile il paragone tra fare campagna elettorale e governare un paese. I nostri politici, ma anche gli italiani in generale, sembrano divertirsi durante le prime e annoiarsi a morte quando si tratta di gestire il paese.

mercoledì 1 settembre 2010

Sempre più in alto...

La questione è sempre più aperta: quanto costa una centrale atomica oggi?
Il Nyt riporta la vicenda della centrale bulgara di Belene, il cui costo ( e siamo ancora alla fase del progetto) è lievitato in qualche anno da 4 a 9 miliardi di euro. L'Enel dovrebbe aver schivato una pallottola visto che solo qualche mese fa il governo bulgaro l'aveva seriamente invitata a entrare con il 49% nel consorzio di costruzione.

In realtà non sono solo gli ex sovietici di Sofia ad avere qualche problema di gestione dei costi: il ministro dell'energia Charles Henry ha alzato il prezzo di quelli britannici a 6 miliardi di sterline (oltre 7 miliardi di euro). Ma la cosa più interessante è che lo stesso Henry pensa di proporre una tassa diretta su gas e carbone per rendere più conveniente il nucleare. Un'idea che il ministro ha già esposto a Bruxelles come una soluzione più affidabile del volatile mercato delle emissioni di Co2. Visto che anche il sottosegretario Saglia sta lavorando alle garanzie da dare ai costruttori nostrani, può prendere spunto. Sempre che non tema di urtare troppo gli interessi degll'Eni.