Un po’ di lobbing, un po’ di verità e parecchia incertezza sul futuro delle fonti fossili.
Negli Usa i ceo di due grandi utilities, Entergy e Exelon, entrambi gestori di importanti flotte di centrali, hanno detto che i nuovi reattori sono troppo costosi.
Wayne Leonard di Entergy ha chiarito: “Le società non vogliono prendersi questi rischi perchè non sono controllabili”. La Entergy ha sospeso due richieste di licenza per centrali in Louisiana e Mississippi dopo che sono falliti i negoziati per ottenere finanziamenti dagli Stati in aggiunta a quelli attivabili a livello federale.
John Rowe di Exelon chiarisce qui che “Le centrali non hanno una possibilità in un mercato puro che non preveda un prezzo sull’anidride carbonica”. Leonard alza l’asticella e chiede almeno 50 dollari per tonnellata di co2 emessa.
In Europa, dove questo mercato è ben più sviluppato, i permessi di emissione non vanno oltre i 15-20 euro a tonnellata.
E’ evidente che allontanare il nucleare nel tempo serve a testare se l’amministrazione Obama e il congresso sono disposti a pagare di più per averlo. Un tentativo di mettere pressione sul nascente climate bill.
C’è però anche un problema strutturale: l’enorme quantità di gas “non convenzionale” (shale gas) che si sta scoprendo negli Usa. Con il petrolio a 70 dollari e il metano a livelli ancora più bassi l’industria nucleare viene riproiettata agli anni 90, quando le centrali semplicemente non convenivano.
In questo senso il “nemico blu” sembra davvero imbattibile: una legislazione che fa costare tanto la Co2 può mettere in difficoltà carbone e petrolio, ma non il gas.